I nuovi parigini

Una commistione di razze, un crogiolo di generi.
La Ville bohémien è silente, le melodie di Becaud hanno lasciato lo spazio all’hip hop delle banlieu.
Il parigino autoctono ha perso la DOCG frapponendo una distanza ancor maggiore tra la metropoli e la provincia.
Gli abitanti della Capitale sono un mash-up di immigrati, turisti, naturalizzati di seconda o terza generazione, lavoratori in trasferta e, ben amalgamato, anche qualche parigino in minoranza!
Parigi però non si perde d’animo.
Ogni volta che ci torni la ritrovi più pulita, come una vecchia signora che non perde mai lo charme ma si rifà il trucco ad ogni occasione importante.
Oh, beninteso, là non è che vada tutto a gonfie vele, ma si possono vivere piccole esperienze che ti danno la misura di un controllo che a volte sembra perduto qui da noi.
Questa organizzazione sulla funzionalità delle cose ha un costo sociale e fa si che per mantenere il rispetto si elevino i costi e si faccia selezione.
Fa si che in prossimità degli obiettivi sensibili si vedano parà in tenuta da guerra con dito sul grilletto del mitragliatore.
Per contro l’emarginazione ha lo stesso protagonismo dell’ordine programmato.
Il clochard è l’antitesi, è il buio della nostra coscienza, l’idioma metropolitano internazionale, l’icona dell’anarchia sociale.
Parigi è anche l’espressione di un paese giovane, perché i giovani sono tanti, sono ovunque, danno l’impressione di “sapere”.
Non di soli tatuaggi e capi firmati si ricopre la gioventù parigina, segni distintivi di appartenenza a qualche tribù sociale, il biglietto da visita per fugare la paura di apparire diseguali.
Non credo che Parigi sia il walhalla della società evoluta, solo il mondo visto da una prospettiva diversa, spostata di qualche grado a nord ovest.